La tragica conquista del primo settemila italiano è qui ricostruita, a distanza di quasi settant’anni, alternando fatti accertati a ricostruzioni di un mistero ancora aperto. Primavera del 1954: mentre Ardito Desio marcia verso la vetta del K2 a capo di un esercito di portatori e alpinisti, il settantunenne Piero Ghiglione parte con tre giovani compagni e tre sherpa alla volta del Monte Api, 7132 metri al confine tra Nepal, India e Tibet. Sopravvissero in due: l’anziano capospedizione che voleva salire in vetta a tutti i costi e lo sherpa Gyaltzen Norbu, tornato cieco e sfinito dopo giorni di lotta tra la vita e la morte. Messa in ombra dal successo della spedizione nazionale sul K2, la storia della più sfortunata tra le spedizioni italiane del dopoguerra fu presto relegata all’oblio, trascurata dalle cronache e addirittura messa in dubbio da alcuni storici dell’alpinismo a causa delle testimonianze contradditorie dei due sopravvissuti. Di chi fu la colpa del disastro che costò la vita di tre fra i più brillanti alpinisti italiani del dopoguerra? Quale trappola fece cadere Roberto Bignami nel torrente Chamlia? Che cosa spinse Giorgio Rosenkrantz e Giuseppe Barenghi a partire verso la vetta, contro il parere del capospedizione, senza sherpa, mentre il monsone si avvicinava? Il racconto di un viaggio senza ritorno verso la “montagna dell’ideale”, fra le pagine di quell’alpinismo eroico che plasmò la generazione di alpinisti cresciuti durante il Ventennio.
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